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Foto anni 1950/70 - Grazie alla perseveranza di padre Natale Sartini, oggi scomparso, con il suo motto "avanti, sempre, avanti", rimane aperta questa finestra sulla storia.
Padre Natale è riuscito ad individuare nei primi anni 50 tramite un piccolo pertugio l'accesso  alla grotta . Tutto l'eremo era stato coperto da detriti portati dalle acque sin dai primi del 1700 dopo l'abbandono dell'eremo da parte dei frati… come cita la petizione scritta da Craterina Cibo Da Varano.."e che da qualche tempo hanno posto mano alla costruzione di un nuovo monastero presso la grotta… un edificio posto a valle della grotta stessa denominato il secondo convento.
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Foto anni 2010 - Il torrente Fiastrone è figlio dei Monti Sibillini più settentrionali (ufficialmente nasce dalla Fonte del Fargno), e millenni e millenni fa, mentre le terre ed i monti intorno si alzavano lentamente verso il cielo, si è scavato un angusto passaggio nel cuore del durissimo calcare tra il Monte Fiegni ed il Monte Corvo, per correre verso il Chienti (a Belfiore) e verso il mare. Il risultato sono le “Gole del Fiastrone”, una suggestiva forra, stretta tra alte pareti rosse e grigie strapiombanti, che a tratti si toccano (l’acqua passa anche sotto un arco naturale) e che nascondono anfratti e grotte spesso usate dall’uomo come rifugio
del corpo o dell’anima.

A Monastero di Cessapalombo (MC) si lascia la strada principale e si scende verso il cimitero del paese dove si parcheggia. Dal cimitero , si prende la pista che passa alla sua sinsitra e che prosegue in piano. Giunti ad un bivio si prende a destra e si cominica a scendere  in diagonale verso ovest. Si oltrepassa un fosso e si continua sull'altro versante. Si supera un crinale e dopo aver traversato una radura si rientra nel bosco dove si riprendere a scendere più decisi. Alcuni brevi tornanti e si è sul fondo della valle ad un bivio (0.45 ore). Si continua a sinistra tenendosi sul fondo della valle (a destra si prosegue per la grotta dei Frati). Da qui inzia una serie di guadi sul torrente Fiastrone  fino all'imbocco della stretta e suggestiva forra dove per proseguire occorre camminare sul fondo del fosso (1 ora).
Foto anni 2012 - Ecco un ambiente che non ha eguali nei Sibillini per una sorprendente escursione. Parcheggiando l’auto nei pressi della diga che sbarra il lago di Fiastra, la si attraversa imboccando al suo termine un cunicolo scavato nella roccia. All’uscita si sale per un breve tratto, prima di immettersi su una carrareccia che a destra scende costeggiando il versante sinistro del Fiastrone. In breve si giunge ad un prato circondato da un anfiteatro di rocce e boschi (Val di Nicola, m.615). Superato il fosso, si prende un sentiero in salita (ignorando la deviazione a destra verso le gole del Fiastrone) che inizialmente tra prati e cespugli di ginepro, poi in una folta lecceta, si snoda ombroso, ben tracciato e in leggera salita, a mezza costa sullo scosceso versante meridionale del Monte Fiegni. Improvvisamente il fosso della Regina (m.775) appare come un fiume di ghiaia rosata, che scende dalle imponenti Lame Rosse. Basta risalire per un centinaio di metri il greto per ammirare uno dei fenomeni di erosione più suggestivi che la natura possa presentare: paragonabili alle più note piramidi di terra del Trentino, si caratterizzano per il colore rosato che spicca nel verde della lecceta; infatti le Lame Rosse sono formate da detriti agglomerati di scaglia rossa profondamente incisi dall’erosione delle acque meteoriche, a cui crostoni calcitici, fungendo da cappello, hanno fatto assumere forme a fungo, a torre panciuta o simili ad altre curiosissime figure. E’ uno spettacolo bello, sorprendente e tristemente effimero: ogni anno è diverso e tra qualche decina di anni ben poco resterà.
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Gian Claudio Giubileo - 2013
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Grotta dei Frati
Foto anni 2010/11 - Alle due grotte è stato dato l'appellativo " grotte dei frati " poiché monaci benedettini prima, francescani poi le utilizzarono come eremitaggio.

1°  Nella grotta grande inizialmente fu eretta una piccola chiesa, conosciuta fin dal 1234 dedicata a S. Egidio ( eremita ). Uno sperone di roccia di fronte alla grotta viene chiamato lo " scoglio di S. Egidio " perché utilizzato dal santo per raccogliersi in preghiera. Successivamente la grotta passò ai francescani seguaci di Angelo Clareno i quali intitolarono la chiesetta  a " Santa Maria Maddalena de specu ". I fraticelli, così chiamati, presero possesso del luogo e provvidero a renderlo più agibile completando la parte abitativa a mo di piccolo convento. Nel 1587 ci vivevano sette frati. Alcuni cappuccini avevano tentato di avere questo luogo con l'appoggio della duchessa Caterina Cibo da Varano, nipote del Papa Clemente VII ma non vi riuscirono. In sunto la petizione dice : " Santo Padre … tra il castello di Montalto e Monastero esiste una grotta detta … grotta di Santa Maria Maddalena…concessa ai frati Clareni… a patto che avessero osservato la regola… I quali frati da molto tempo non conducono più vita eremitica … menano vita dissoluta con scandalo … Avendo avuto notizia … che hanno posto mano alla costruzione di un nuovo monastero ( un edificio posto a valle della grotta detto secondo convento ) con l'intenzione di abbandonarla… si chiede che siano rimossi e sostituiti con due frati di Fossombrone " . La vita dissoluta che conducevano i fraticelli presa a motivo della suddetta petizione è dovuta ad una diceria poiché nell'altro versante della valle vi è una grotta delle penitenti utilizzata da monache dette in dialetto " infratate " che provenivano da Sarnano . Nel 1652, in occasione della soppressione di alcune piccole comunità il convento della grotta fu affiliato a quello di Colfano il cui superiore provvedeva nei giorni ricordativi alle funzioni religiose per i carbonai, pastori e viandanti che erano nella zona. Padre Natale è l'ultimo frate del convento di Colfano  che essendo venuto a conoscenza dell'esistenza dell'eremo è andato alla ricerca  e trovatolo come visto nelle foto sopra riportate ce lo ha restituito.

2 ° La grotta piccola fu utilizzata come ricovero per un asinello. Ce lo dice l'accesso alla grotta. La porta misura cira 80 cm. In alto a destra cè una pietra con un incavo cui era appoggiata una tavola di 4 cm. Che faceva da finto architrave per una fila di pietre. Sopra l'architrave vero che sorreggeva tutto il peso del muro in pietra. La tavola è posta a 1 metro e 60 da terra quindi l'asino ha queste misure, il somaro no perché più imponente. All'interno vi  è una mangiatoia che ci conferma l'uso della grotta come stalla. Ma più importante è il sistema di chiusura della porta. Non vi sono cardini., all'epoca questi si facevano a mano dal fabbro e costavano quindi i frati hanno escogitato una porta chiusa a tappo cioè sulla porta veniva fissata una piccola corda a mo di anello su cui si infilava un bastone leggermente più lungo dell'apertura della porta, si girava il bastone fino a porre la corda in tensione poi il bastone nei due fori fatti sulla parte interna delle due spallette teneva ferma la porta. Se ci fate attenzione i fori ancora ci sono. E siccome i fori per mettere il bastone venivano fatti all'altezza delle mani si può dedurre che all'epoca i frati erano alti 1 metro e cinquanta circa.
Grotta dei Frati - foto anni '50/'60
Archivio foto 2011
Panorama foto 2011
Gola Fiume Fiastrone - foto 2007
Archivio foto 2007
Gola del Fiastrone da Youtube - Amatoriale
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Lame Rosse da Youtube - Amatoriale
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Amatoriale
Lame Rosse - Fiastra - foto 2012
Archivio foto 2012
Panorama foto 2012
Padre Natale Sartini alla grotta dei partigiani - foto inizi anni 50
Grotta dei Frati
Archivio foto 2011/anni 50
Proseguendo, oltre la grotta dei frati, il sentiero continua e raggiunge un'altra cavità. Vi è stato messo un corrimano perché il sentiero si restringe a circa 70 cm con  a destra la roccia  e a sinistra un precipizio di 200 metri a picco (sconsigliato a chi soffre di vertigini). Il nome deriva dal fatto che nel 1944 vi si rifugiarono alcuni partigiani della banda Nicolò.
La zona infatti fu teatro di diverse battaglie e rastrellamenti da parte dell'esercito nazista durante la ritirata verso nord. Poco lontano, a  Montalto i nazifascisti uccisero 26 tolentinati
La resistenza alla Grotta
Archivio foto 2013
San Salvatore o Santa Maria in Insula a Monastero
San Romualdo e la sua riforma
Santa Maria in Insula e la sua storia

L'alta valle del Fiastrone, ha una tradizione schiettamente benedettina. Una figura significativa e quella di Romualdo, santo ravennate, figlio del duca Sergio, nato nel 952 e morto il 19 giugno 1027 all'età di 75 anni. Secondo San Pier Damiani, San Romualdo, che avrebbe condotto per molti anni vita eremitica, era un uomo di forte ingegno, di tenaci propositi, di coraggio indomabile, mite, gioviale. Di carattere tutto singolare, sembra che non potesse avere un domicilio fisso; le sue peregrinazioni furono lunghe e continue e tra i vari paesi toccò anche il territorio di Camerino. In tutte queste peregrinazioni, interpretando rigorosamente lo spirito della "Regola" di San Benedetto, cercò di riaffermare in seno ai monasteri benedettini la necessita della vita eremitica. San Romualdo, visitando il Camerinese tra il 1005 e il 1009 rinsaldò l'eremitaggio di Rio Sacro. L'intensa vita spirituale, alimentata dal lavoro e dalla preghiera, non tardò a produrre frutti di specchiata santità. Nel 1030 fiorirono in San Salvatore un S. Ronaldo da Camerino e un S. Firmano da Fermo il quale vi ricevette l'ordinazione sacerdotale (come attesta San Pier Damiani). Sopra i loro corpi, scrive San Pier Damiani, per volontà dell'assemblea sacerdotale, sono stati eretti i sacri altari ove si celebrano i divini misteri rendendo testimonianza ai loro miracoli. San Romualdo rifondò anche l'Abbadia, oggi in parte ristrutturata, in posizione isolata a valle, dell'attuale frazione di Monastero, chiamata allora "Santa Maria in Insula" oggi San Salvatore. Difatti durante i lavori di restauro dell'abbadia sono apparse, a conferma, strutture precedenti di stile Romualdino e quattro torri ad impianto Ravennate. Intorno al 1050, sotto il Vescovo di Camerino Atto, i Benedettini di Santa Maria in Insula, furono chiamati entro le mura di San Ginesio per officiare le funzioni nella chiesa di San Pietro, oggi San Francesco,
costruita a Capocastello e pertanto dovettero, per obbedienza, lasciare la loro abbadia. Per ordine di Onorio III, circa duecento anni dopo, i monaci furono costretti a ritornare di nuovo alla vecchia abbadia, pena la soppressione dell'Ordine. Lasciarono la chiesa di San Pietro ad un sacerdote diocesano e ad un fratello laico. Trovarono la chiesa ed il monastero in pessime condizioni. A Monastero tuttavia non rimasero in pace e continuarono poi a non avere vita facile poiché lo stesso Onorio III, nel 1226, in il monastero alla mensa vescovile di Senigallia. I Ginesini non furono contenti di questo provvedimento poiché il monastero di Santa Maria dell'Isola passò dalla giurisdizione del Vescovo di Camerino a quella di Spoleto. Nel 1229 "Rinaldo", legato imperiale della Marca di Ancona e Duca di Spoleto, restituì Santa Maria dell'Isola a San Ginesio confermandole tutti gli acquisti fatti precedentemente tra cui anche il castello di Isola (fraz. Monastero).
L'Abbadia ha la cripta, magnifica nella sua struttura, con le volte a crociera sorrette da nove colonne ed un pilastro. Qui furono ritrovati frammenti di laterizio di origine romana. Fino ad alcuni anni fa, adiacente all'Abbadia era visibile un museo di materiali rinvenuti durante gli scavi di sistemazione dell'Abbadia stessa, allestito da padre Natale Sartini, ora conservato all'interno dell'abitazione del parroco.

Tratto da "GROTTE E SENTIERI nell'Alta valle del Fiastrone" di Gian Claudio Giubileo
San Salvatore o Santa Maria in Insula a Monastero - foto anni '50
Archivio foto 1950
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Prima di entrare nelle forre un sentiero si inerpica sulla sinistra e a circa 100 metri in una natura bizzarra dove su tagli obliqui di roccia si incontrano le grotte delle capre. In alcuni punti un po' chini un po' carponi  si riescono a visitarle tutte. "Delle capre" perché erano un rifugio naturale alle intemperie e perché  per gli abitanti del posto  in passato le capre erano un valido sostegno e quasi tutti le possedevano. Se torniamo alla seconda metà del 1300 queste grotte hanno ospitato fra Michele Berti da Calci  detto il Minorita  riconosciuto colpevole di eresia e bruciato sul rogo a Firenze. Un anonimo trecentista ci dice che il fraticello viveva nelle Marche insieme ad altri romiti di cui un   Camerinese nascosto in una grotta che negli atti del processo è indicata come " grocta deorci joffensi ",  che altro non sarebbe che la "Grotta delle capre selvatiche" in territorio degli Offoni cioè nei dintorni di Sarnano. Il monte Ragnolo in territorio Offone scende fino alla valle del Fiastrone dove sono ubicate le nostre grotte delle capre nelle quali il Minorita si è rifugiato. La valle ha visto la resistenza dei partigiani nell'ultimo conflitto, ma nei tempi più antichi ha ospitato questi strani partigiani di Francesco che per rimanere fedeli al loro spirito sfidarono il tribunale della Santa Inquisizione. In sunto il fraticello salì al rogo per il solo fatto di sostenere che … " Cristo nostro redentore non ebbe cosa alcuna in proprio o in comune con altri, ma di tutte le cose che la sacra scrittura attesta ch'egli avesse , esercitò il semplice uso di fatto, che Cristo e i suoi apostoli non ebbero di vendere o di donare quelle cose  o con esse acquistarne altre. …"  Questo sta a dimostrare quanto di poco conto fosse tenuta la vita di chi osava essere in disaccordo con i facoltosi ecclesiastici ai quali non piaceva essere messi in discredito da poveri frati mendicanti che predicavano il Vangelo e praticavano la povertà di Cristo.
Dalle grotte delle capre, di prosieguo verso le forre, un po' più in alto si incontra la Grotta delle penitenti o delle monache. Come gli uomini si appartavano per fare vita eremitica anche qualche donna seguendo la stessa strada sarà salita fin lassù. Nella vicina zona di Sarnano figura anche il vocabolo "Lucolle delle Bizzoche" in quella stessa zona vi è pure un "Locus Heremitorum". Si tratta quasi certamente di donne legate al convento di San Francesco, erano chiamate semplicemente monache di San Francesco o in dialetto dette "infratate". In un atto testamentario conservato all'archivio notarile di Sarnano, una tal Margherita, figlia di Ruggeri Zocchi nel dettare le sue volontà testamentarie stabilisce che … Item lu corpu suo…vuole essere seppellita nella chiesa di San Francesco nella sepoltura delle monache infratate…. Il titolo "penitenti" o monache dato alle grotte conferma la presenza di queste Francescane.
Sono due grotte ubicate ai piedi della Val di Nicola distante qualche centinaio di metri l'una dall'altra. Per primo, sottostrada c'è la Grotta di Nicola  di cui la valle prende il nome. Anche queste grotte sono utilizzate da penitenti ma questa volta il personaggio è di tutto riguardo, il Beato Ugolino da Fiegni vissuto come terziario francescano. Egli nacque a Fiegni intorno al 1320 dal conte Magalotto IV e da Lucia, che morì durante il parto. Il bambino orfano di madre fu cresciuto dal padre, nella famiglia dei Magalotti dignitari del castello di Fiastra, il quale morì quando Ugolino aveva 13 anni. Passò del tempo ed anche per il giovane conte venne il tempo dell'amore. A Visso aveva conosciuto una fanciulla di buona famiglia certa Clara de' Riguardati e se ne era innamorato follemente. La fanciulla sfuggiva le attenzioni del conte Ugolino in quanto aveva deciso di farsi monaca ed entrare presso il convento Santa Chiara di Visso. Questo fatto scosse profondamente l'animo di Ugolino che meditò a lungo presso il santuario di Macereto - " farsi monaca per amore di Dio "! Ancora oggi, nel plinto di sinistra del portale principale del santuario di Macereto è visibile un bassorilievo rappresentante un monaco vestito di rozzo saio con una corda stretta ai fianchi che con la mano destra regge il cuore. Forse guidato dalla scelta di " Clara " decise di vendere la proprietà lasciatagli dal padre e avendo sentito forte il richiamo della perfetta povertà di Francesco seguì la via del poverello di Assisi. Scelse come luogo per la meditazione una piccola grotta, quasi un anfratto in val di Nicola, tra quelle meravigliose montagne che tanto spesso lo avevano suggestionato. Considerata la vicinanza con la Grotta dei frati ed il sentiero comune alle tre grotte probabilmente Ugolino ebbe contatto con i fraticelli ed al ritorno, prima di iniziare la risalita per la sua grotta sicuramente si sarà soffermato alla grotta di Nicola. In questi luoghi è vissuto per trent'anni in unione di preghiera con Dio, tra digiuni ed astinenze, contento di nutrirsi con quello che riceveva in elemosina, o erbe, radici e frutti dei boschi circostanti. Lo ristorava l'acqua della sorgente a cui la tradizione ha lasciato il suo nome perché  fatta scaturire dallo stesso. Finì la vita da lui scelta con tanto amore verso Dio l'11 dicembre 1373 all'età di 53 anni. Dopo la morte il corpo venne trasferito nel vicino castello di Fiegni presso la chiesa di San Giovanni, che sarà poi  a lui intitolata; chiesa dove attualmente riposa. Il riconoscimento ufficiale del culto del " Beato Ugolino "venne concesso in data 19 novembre 1856 e confermato dal pontefice marchigiano Pio IX il 4 dicembre successivo..
In soccorso alla Grotta dei Frati